mercoledì 30 maggio 2012

martedì 29 maggio 2012

Musical e Danza a Pinzolo Val Rendena

Dal 29 Luglio al 4 Agosto una settimana di lezioni di vari stile con maestri eccellenti nella cornice splendida di Pinzolo in Val Rendena una esperienza indimenticabile.Prenotatevi subito

La comedie musical en France

La station de Saint-Cyprien, avec ses 6 kms de sable fin, est une station calme et familiale.
Elle est aussi célèbre pour son golf international créé en 1976 avec deux parcours de 9 et 18 trous.
Saint-Cyprien, c'est aussi un parc aquatique Aqualand, une station labellisée Famille Plus, qui accueille de nombreuses infrastructures de loisirs avec notamment, le centre de tennis Grand Stade Les Capellans, dans le cadre verdoyant du parc des Capellans, le centre équestre et le centre de sports de mer UDSIS.
Le centre d'hébergement de l'UCPA (Union des Centres de Plein Air), d'une capacité de 219 lits, facilte l'accueil des stagiaires et contribue au développement du plus grand complexe sportif de la région, et de son environnement exceptionnel.
Grand Stade Les Capellans accueille en effet depuis 1997 le Groupe International des 8, pour un stage de danse qui a lieu tous les étés au mois de Juilet.

Accueil › les stages d'été à Saint Cyprien



  • Les stages
  • Les professeurs
  • Contact





  • les stages d'été à Saint Cyprien
  • les plannings
  • les tarifs
  • les inscriptions


www.groupedes8.com - Groupe international des 8 ©2010 Tous droits réservés - Mentions légales -
17, rue Bertran de Balanda - 66000 Perpignan - Tél. +33 (0)6 24 97 48 97 - Fax +33 (0)4 68 54 73 26 - contact@groupedes8.com
Groupe International Des Huit : organisation de stages de danse et cours de danses hip hop, classique, jazz, contemporaine, flamenco à Saint-Cyprien, Pyrénées-Orientales (66) - Languedoc-Roussillon

Uno stile fuori asse

UNO STILE FUORI-ASSE

di Angela Messina *

Max ha scritto nei primi mesi del 2004 la pagina più bella e gratificante - fino a questo momento - del suo curriculum di danzatore professionista.
Il musical Chicago, nel quale lavora, è infatti un traguardo ambizioso per ogni artista completo, versato nella danza, nel canto, nella recitazione.
I musical da lui interpretati sono grandi classici: sofisticati come Kiss me Kate, o più spettacolari come Jesus Christ Superstar ed Evita.
Per l'intreccio avvincente, le meravigliose canzoni (All that jazz è la più nota fra tanti altri pezzi notevoli), e soprattutto per le geniali coreografie di Bob Fosse, Chicago è il musical per eccellenza, accessibile solo a professionisti più che capaci, dotati di una presenza scenica fuori del comune.
Ma, per quanto brillante, la carriera di Max legata al palcoscenico permette di comprendere la sua personalità professionale solo in parte.
Quando è sulla ribalta, vedo un interprete perfetto; ma non scopro nulla della sua creatività come coreografo, o delle sue doti come insegnante.
Invece, nel frequentare i suoi corsi, e osservando come costruisce i balletti, ho subito la percezione della sua notevole ampiezza di vedute dal punto di vista artistico.
Mi è già capitato di parlare dello stile di Max in qualche articolo dedicato alla danza. ‘Eclettico’, ‘poliedrico’, ‘mutevole’ e ‘colto’ sono gli aggettivi che ho sempre utilizzato per cercare di definirlo.
Da dove viene tanta varietà? Ovviamente dagli studi fatti.
Max ha cominciato a studiare danza classica a Napoli nel Lyceum di Mara Fusco, una delle scuole più rinomate d’Italia (l’editore Gremese ha in catalogo un titolo su questa accademia), poi danza jazz, funky, hip hop e contemporanea, fra Roma, Milano e New York.
Percorsi più o meno simili si possono trovare nella storia di tanti altri danzatori di professione. Senza che questo però si traduca in modo automatico nella capacità di insegnare e creare spettacoli.
Max, invece, riesce a essere eccezionale in ognuno di questi ambiti, come dimostrano le conferme sul palcoscenico, l’apprezzamento per le sue coreografie, l’affluenza ai suoi corsi.
In questi anni il suo stile si è sempre più complicato e affinato. Da una parte, infatti, si nutre di tecniche diverse e attinge a movenze di altre culture; poi però Max lega tutto questo materiale in modo espressivo, armonioso e affascinante.
Che cosa tiene insieme una sequenza che inizia con una posa lyrical, subito sorprende con uno sbilanciamento che piacerebbe a Forsythe, poi prevede un gesto da samurai in combattimento, si ingentilisce con piccole movenze del capo di sapore orientale, abbandona tutto il corpo in un improvviso passaggio afro, lo riporta di colpo nell’ambito accademico con una combinazione degna di un adagio classico? … Come si fondono l’ammiccamento di hip-hop con Bob Fosse, la tecnica Horton con Isadora Duncan, con il flamenco o, come mi ha raccontato ultimamente, con alcune pose ispirate alle figure di un vaso antico!? Come può non diventare, tutto questo, una macedonia casuale, un miscuglio di approcci che non legano fra di loro?
Credo che ingredienti tanto vari raggiungano il giusto equilibrio, diventino un meraviglioso unicum grazie a una continua attenzione all’eleganza, che prevale su tutto. Credo che, nel caso di Max, a decidere ogni sequenza danzata sia, più della voglia di sperimentare e spaziare (in lui fortissima), sempre e soprattutto il suo eccezionale senso estetico.
Quindi gli infiniti stimoli che assorbe, della più diversa origine geografica e temporale, si accostano e fluiscono senza frizioni. Max infatti smussa e ammorbisce ogni gesto per evitare passaggi bruschi, dimostrando grande sicurezza. Ho sempre ammirato in lui la capacità di semplificare la tecnica, dove necessario: anche se questo non vuole dire che le sue coreografie siano facili; tutt’altro.
La semplificazione di cui parlo è il contrario di un approccio accademico, dotto, falsamente elitario, e quindi chiuso in se stesso. È un approccio che viene invece da una notevole apertura mentale, che coglie e cattura ogni stimolo e sa rielaborarlo. Questo è ciò che io ho sempre definito l’aspetto colto della danza di Max.
Ancora, riguardo a Max mi pare importante sottolineare il rapporto fra danza e musica. Una parte del pathos suscitato dai pezzi che lui crea è data proprio dall’originalità degli abbinamenti. Potrebbe fare una coreografia hip hop su una sonata di Chopin; la sbarra a terra col sottofondo dei Red Hot Chili Pepper; piazza lo stile Duncan su una base indian-acid (bah!, a me sembravano i Led Zeppelin).
Questo rende ancora più difficile ‘collocare’ la danza che lui propone, decidere dove metterla nello scenario di filoni e stili d’oggi. Quella di Max è quindi una danza fuori-luogo; ed è sempre, in senso metaforico, fuori-asse, fuori-del-seminato, o fuori-degli-schemi. È una danza a parte.
Infine vorrei aggiungere due ultime considerazioni legate fra loro. La prima delle quali riguarda la tecnica.
Sì, come notano alcuni, la danza di Max a volte non prevede molta tecnica, se per tecnica si intende l’alfabeto fondamentale del balletto classico.
Da un lato, però, lo stile di Max presuppone la disciplina della danza classica, è esaltato dalla danza classica. E questo dimostra come l’abbia sempre ben presente, anche se la mimetizza in frasi coreografiche del tutto originali.
D’altro canto, lo stile di Max richiede invece una notevole tecnica per quanto riguarda i continui, repentini e complessi cambi di postura, poiché proprio questa è l’impronta genetica di ogni tipo di danza.
In questo senso la tecnica Horton, prediletta da Max, è fondamentale (quanto la danza classica) per progredire nel suo stile.
Per quanto mi riguarda, studio danza classica perché è la disciplina di base; e infatti noto la sicurezza che mi dà anche quando seguo le lezioni di Max. Ma, a poco a poco, ho anche notato, non senza sorpresa, che studiare con Max Bartolini mi fa anche migliorare proprio nella danza classica. Soprattutto nella morbidezza e nell’eleganza, che sono gli obiettivi ultimi del balletto; ma anche dello stile di questo strepitoso insegnante.
È un fatto tutt’altro che ovvio, eppure ormai ne sono certa. E a lezione, ogni volta che ci faccio caso, mi sorprendo a pensare che, mentre trascorro tante bellissime ore seguendo i suoi corsi, forse io sto vivendo l’inizio di qualche cosa che un giorno sarà ricordato nei libri di storia della danza.